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Quando l'ombra vibra… Riflettendo sulla possibilità di proporre anche quest’anno per l’estate di fortunagoinarte una mostra il cui contenuto avrebbe dovuto bissare il riscontro avuto da quella dell’anno passato, siamo partiti proprio dalla considerazione delle scelte che ci avevano condotti, a suo tempo con la galleria Paraventi Giapponesi – Galleria Nobili, a sviluppare il tema dell’Iki (いき) che, dopo l’esposizione presso la galleria milanese l’autunno precedente, fu riproposta proprio per le sale espositive del municipio del borgo pavese. Il complesso tema filosofico, trattato con sensibile poesia da Kuki Shūzō nel suo testo la Struttura dell’Iki, è stato il filo conduttore che ci ha portati a creare un appassionante dialogo tra artisti italiani e giapponesi con l’inaspettato esito di una reciprocità scambievole e stretta di contenuti ed evidenze, e non già una lettura per gli opposti confronti di due tradizioni artistiche (apparentemente) lontane. Sulla scorta di quest’idea, quindi, il punto di partenza, che abbiamo voluto fosse alla base della nuova mostra, è rimasto la riflessione di un autore giapponese attorno ad un tema complesso ed articolato – non alieno alla tradizione occidentale – quale quello dell’ombra su cui, Jun’ichirō Tanizaki, ha compiuto la sua disamina nel testo Libro d’ombra (陰翳礼讃). Qui Tanizaki descrive come questa presenza sia
un qualcosa di fondamentale nella tradizione culturale Se quanto dice l'autore nipponico è vero per molta “società civile”, per una certa impostazione culturale o per i condizionamenti di tipo religioso, l'arte occidentale ha saputo, con alcuni suoi artisti, saggiare, invece, le potenzialità espressive dell'ombra quale elemento importante e indispensabile a comprenderne la ricerca non pregiudiziale. Fin dal passato la troviamo inserita nell'opere di quegli artisti che, attraverso la luce e quindi l'ombra, cercavano una corporeità fisicamente tangibile, utile a presenziare la concretezza del soggetto dipinto (o scolpito): l'ombra, immateriale, forniva loro un aspetto oggettivo per descrivere la realtà delle cose fisiche, producendo, anche, un dialogo con la spazialità e la profondità del visibile stesso. Se questo concetto resta implicito nella dimensione del fare degli artisti orientali qui presenti, sui passi di Tanizaki, abbiamo selezionato anche una serie di artisti occidentali i quali, senza consegnare un'opera legata a questa circostanza, e quindi frutto di un'episodicit à sporadica e retorica, ma individuando temi e soggetti specificamente presenti nelle loro visioni – le date delle opere sono a questo punto indicative – denunciano un'azione fortemente indirizzata a ricavare “nell'ombra” uno sguardo generante e germogliante di suggestioni e significazioni che ne esplorano, con processi individuali e variegati, ogni tensione vivificante. Le immagini che si inseguono – e agganciano una all'altra preservando comunque la propria autonomia e indipendenza – concedono allo sguardo quella variabile vibrazione che lascia scoprire il concetto di ombra secondo una chiave di lettura nuova. Tracimando dai suoi limiti canonici, incontrando una “lettura” più orientale, si intercettano quelle vibrazioni che sottraggono dall'immobilismo oscuro la sua forza viva. Le sentenze artistiche qui raccolte – che anticipano questa volta il progetto che verrà proposto in autunno in galleria – abilitano per la nostra esperienza, con la pittura e la scultura, un interessante intreccio narrativo che traspone le parole di Tanizaki concretizzandole in immagini precise. Senza curarsi pregiudizialmente di chi sia italiano o giapponese, osservare i loro lavori congiuntamente significa percepire quella comune e sentita manifestazione che si attua, con specifici linguaggi e relative soluzioni, dentro la sostanza dell'arte, accentuando come l'o mbra, da potente archetipo, possa rivoluzionare e indurre la sua vigorosa essenza scura, in principio, a diventare altro. Non solo un discrimine tra bene e male, nemmeno un contenitore fluido e errabondo che, mutevole e alieno dalla connotazione dell'essere che la produce, traduce il nostro – ma anche di ogni altra forma del visibile – alter-ego . Con questa mostra si cerca di suggerire come l'ombra possa non consegnarsi secondo l'accezione di nemica o rivale, antagonista portatrice di orrorifici presagi, ma, senza interpretare il ruolo di co-protagonista cattivo da contrastare, rifuggire o cui opporsi, si emancipi in qualcosa di molto complesso e fuori da ogni schema precostituito. La sua pelle inafferrabile diviene crogiuolo evanescente di emozioni latenti che cercano di farsi in superficie e di emergere perché, nelle sue recondite profondità, si cela un'insperata positività costruttiva. Il racconto di quest'ombra si pone come strumento di armonizzazione con quel nuovo visibile che affiora quasi subliminalmente e che ha p otere di estromettere ogni segnale di cupo pregiudizio a risolvere insperati inediti equilibri. Non si deve stupire allora lo spettatore se in una mostra sull'ombra sono presenti i colori, se di alcuni artisti – intenzionalmente – sono state scelte opere il cui cromatismo sfugge un apparentamento con tonalità scure, il suo ricorso – anche dove il nero prevale – è legato ad una logica di vita trattenuta che, affiorando, sta per germinare. Anche nella nostra tradizione letteraria troviamo esempi in cui l'ombra diventa soluzione generativa di vita: il padre di Peter Pan , lo scozzese Sir James Matthew Barrie – il suo nome è di certo meno noto rispetto a quello del celeberrimo personaggio da lui creato – ci scriveva, nelle pagine dei suoi racconti, come il cruccio per l'adolescente volante, non fosse tanto il restare eternamente bambino, quanto il riuscire a trattenere su di s è la propria ombra che, burlandosi di lui, gli svolazzava attorno. La sua incompletezza derivava dal non essere come tutti, la sua esistenza sarebbe stata “normale” solo con quell'ombra cucita ai piedi. Come Peter che, mai nato e destinato a restare bambino, la insegue cercando in ogni modo di bloccarla per esistere davvero, le opere degli artisti individuano quelle frequenze inusuali che mostrano come l'ombra, anche nell'arte, possa essere una metafora squisitamente naturale, che non vuol dire guardare al peggio di un sortilegio mortifero, ma saggiarne il senso di umanità sensibile. E quindi, nelle loro vibrazioni, parlare anche di vita.
Matteo Galbiati
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